di Denise Pardo
Gli scontri con la redazione. I giudizi sui conduttori. I rapporti coi politici. Il direttore uscente si confessa. E avverte il suo successore: 'Ci vuole un fisico di ferro'. Colloquio con Clemente Mimun
Maria Luisa Busi
Dopo la nomina di Gianni Riotta al suo posto alla direzione del Tg1:" Mi sono preso due giorni di vacanza per evitare l'effetto statua Saddam Hussein". Sul voto favorevole dei consiglieri del centrodestra sulla sua sostituzione: " Non me ne importa un bel niente di come ha votato Giuliano Urbani". Sul presidente della Rai e sul direttore generale, zero outing: "Non dirò una parola contro Claudio Petruccioli e Claudio Cappon". Clemente Mimun, un posto speciale nel cuore di Silvio Berlusconi, per 12 anni direttore di lungo corso e di grandi ascolti, prima al Tg2, poi al Tg1, non ha ancora deciso il suo futuro, anche se i vertici di viale Mazzini gli hanno offerto, a scelta, o Rai Sport o le Tribune e i Servizi parlamentari. Mentre una buona parte della sua ex redazione, alla notizia del suo rimpiazzo rilascia dichiarazioni estatiche di felicità ai giornali e molti bookmaker scommettono che prima o poi Ulisse Mimun tornerà a Itaca-Tg5, lui fa un bilancio con 'L'espresso' dei suoi anni al primo telegiornale d'Italia. Gli scontri con i politici, i rapporti con i giornalisti, ma anche le sue considerazioni (perplesse) sulla speranza che l'arrivo del centrosinistra equivalga alla primavera della Rai. Il colloquio è nella lugubre Saxa Rubra, lui è in jeans dalla testa ai piedi e scherza con la segretaria che, per distrazione, esce dalla stanza mentre le sta parlando: "Oh, va bene che sta per arrivare un altro direttore, ma non mi state neanche più a sentire?".

Dodici anni da direttore. Un bilancio?
"Eccellente, straordinario, sfavillante, impressionante. Sì, sono tronfio. Ho avuto sei diversi consigli d'amministrazione e dieci diversi direttori generali, per sei anni e mezzo sotto il segno del centrosinistra, e tutti hanno sempre trovato il modo di manifestare concretamente con aumenti di merito il lavoro che facevo".

La vie en rose alla Rai.
"Tranne il dispiacere di non aver mai visto l'azienda, le reti, e i tigì sedersi a uno stesso tavolo per ripensare una completa rivisitazione dei palinsesti dell'informazione. Magari per provare a confezionare giornali specializzati, su target precisi: anziani, giovani, tecnologie...".

La redazione ha parlato di anni orribili, con accuse di gestione dittatoriale, poco pluralismo...
"Ci sono i j'accuse, i libri bianchi dell'Usigrai con alcune cose vere. Lo scontro di Berlusconi con Schultz al Parlamento Ue senza audio, solo raccontato. Il pubblico aumentato per il discorso di Berlusconi all'Onu... Tutto giusto. Ma ricordo, altri episodi analoghi fatti dai direttori nominati dal centrosinistra: ad esempio, i fischi all'indirizzo di Massimo D'Alema, soffocati. Basta consultare l'archivio di 'Striscia', il materiale c'è ed è succoso. Mi hanno messo in conto anche il ritardo nel dare la notizia della morte di Nicola Calipari: un episodio, causato da un corto circuito redazionale, che mi ha fatto stare veramente male, sia giornalisticamente che umanamente".

Ma i rapporti interni sono stati burrascosi, più che con altri direttori.
"Non credo di aver avuto più problemi degli altri. È che sono stato il più longevo. Chiunque venga al Tg1 si accorgerà che qui c'è una redazione che pensa di essere padrona del giornale. Un grande giornalista come Rodolfo Brancoli è andato via dopo poche settimane. Gad Lerner è durato poco di più. Per un errore redazionale, non suo, ha dovuto lasciare in fretta e furia".

Non può dire di essere stato un direttore molto democratico.
"Ho fatto tutto quello che dovevo fare nei miei 12 anni da direttore. Ho rivoluzionato il Tg2 con successo, ho portato il Tg1 al top degli ascolti, il mio 'dopo tg' ha toccato quasi il 30 per cento. So che Tiziana Ferrario ha detto: 'L'importante è che Gianni Riotta ci faccia fare i giornalisti'. Pensavo che Tiziana in questi anni avesse coperto su mio incarico importanti crisi internazionali e guerre. Mi piacerebbe sapere chi le ha detto che si trattava di vacanze intelligenti".

Il cdr si è espresso duramente su di lei.
"I sindacati criticano per definizione, ne hanno diritto e dovere. Ma uno dei componenti, Filippo Gaudenzi, si è spinto un po' oltre, dicendo che la mia partenza è una sorta di 25 aprile. Probabilmente, si fa forte del contributo magistrale che offre sempre su arrivi di salme, funerali di Stato e cataclismi di varia natura".
Momenti aspri con Maria Luisa Busi, con Lilli Gruber sulla mancanza di libertà...
"Tutti sanno che i conduttori devono avere credibilità e bucare lo schermo, ma sono assolutamente irrilevanti ai fini del risultato. Nessuno ha il coraggio di dirlo, io l'ho affermato subito, appena insediato. In più, buona parte di loro vanno solo in video e traggono il massimo della riconoscibilità e del prestigio personale dal lavoro collettivo. Detto questo: la Busi? Eravamo d'accordo che avremmo parlato di cose serie... Ricordo una copertina del magazine tv del 'Corriere' con Bruno Vespa in braccio a Busi e Gruber, le stesse che, dopo poco, erano in prima linea per sfiduciarlo".

Il miglior conduttore del Tg1?
"Non abbiamo molto in comune, né in politica né sul calcio, ma David Sassoli è oggettivamente bravo. Lo apprezzo anche perché davanti ai colpi di scena è un emotivo. Non mi piacciono le macchine".

E il miglior cronista politico?
"Clemente Mimun".

Ci sarà qualcun altro, meno dotato di lei naturalmente?
"Daniela Tagliafico".

Come? Proprio la Tagliafico andata via dal Tg1 con le solite accuse?
"Era bravissima. Al Tg2 abbiamo formato una coppia straordinaria. Secondo me, le hanno suonato la carica dimenticando poi la serenata".

Tagliafico mi sembra in grado di ragionare da sola. Cambiamo argomento: lei è stato il re del famigerato metodo panino...
"Panini, bidoni.. Non vedo l'ora di assistere allo spettacolo, aspetto al varco di essere illuminato con le nuove tecniche. Tanto per cominciare, anche la mia sostituzione ha seguito un metodo: quello dello spoils system, non è stata certo una scelta editoriale. Ma da studioso voglio capire come, visto che il centrosinistra è composto da tanti partiti e partitini, si quadrerà il cerchio. Sa che, in campagna elettorale, Antonio Di Pietro, lamentando la presenza minima dell'Italia dei Valori, mi telefonava per dirmi simpaticamente diretto: 'Perché non mi vuole far raggiungere il 2 per cento?'".

Sostiene che per Riotta non sarà facile.
"Riotta? Non oso neanche farne il nome. Come Dio, non si nomina invano. Gli ho fatto gli auguri, ma non l'ho mai visto all'opera e quindi non ho pregiudizi verso di lui. Però tutti quei politici, quegli intellettuali che esultano: 'Ora cambia tutto', non sanno quello che dicono. Voglio proprio vedere. Francamente ho letto analisi più serie su 'Liberazione' del mio amico Piero Sansonetti".

Semplicemente, si auspica un tg con più informazione, più pluralismo e meno partiti.
"Certo, certo, più giornalismo investigativo, più inchieste, conosco il refrain. A parte che servizi del genere ne abbiamo fatti a iosa, non so quanti dedicati alle morti bianche, ma lasciamo stare. Il Tg1 è istituzionale, giusto? Bene. Parla il papa. Ma anche il presidente della Repubblica. Poi c'è il premier e il capo dell'opposizione. I partiti della maggioranza, tanti, i partiti dell'opposizione. E i presidenti delle Camere che non se ne stanno più tranquilli in Parlamento come un tempo. Pier Ferdinando Casini ha girato il mondo, Marcello Pera è diventato il capo dei neo-con. Il Tg1 dura solo 30 minuti. E di questo passo si fa in automatico".

Con quale uomo politico ha avuto il rapporto più difficile?
"Con Piero Fassino. Dopo un confronto piuttosto pesante e poco civile, non ci siamo parlati per cinque anni. Stimo e sono amico di sua moglie Anna Serafini e lei ha tentato più volte di spegnere l'incendio, ma c'è stato poco da fare".

D'Alema si è pubblicamente espresso per la sua sostituzione.
"Era alla Festa dell'Unità e doveva esibire un bottino di guerra".

Ai passaggi mediatici è più attento il Vaticano o il Colle?
"All'apparenza, il Quirinale. Almeno all'epoca di Carlo Azeglio Ciampi. Il nuovo corso è presto per giudicarlo. Al presidente Giorgio Napolitano mi accomuna la stessa passione per il calcio".

Ha ricevuto anche lei molti bigliettini di raccomandazione, come quello famoso di Gad Lerner avuto da Mario Landolfi?
"Francamente no. Ma forse la mia memoria è migliore di quella di Gad, non ho bisogno di appunti. Ho visto che tra Lerner e Landolfi, neopresidente della Vigilanza Rai, c'è stato uno scambio di messaggi festosi. Tutto passa, anche in Rai ".
Va o non va a Rai Sport?
"Sto riflettendo, perché finora ho fatto un altro lavoro. È un posto importante, ma c'è la concorrenza enorme di Sky, c'è Mediaset che è fortissima. Dipende anche da quanto l'azienda è pronta a dare una svolta e a ricominciare daccapo. Il cdr ha commentato che la scelta di Mimun era autorevole, mi ha fatto un gran piacere".

Il sogno è dirigere il Tg5?
"Io sono sul mercato. Anche per la Rai. Non metto il coltello alla gola a nessuno, ma non mi va che nessuno lo metta a me. Non accetto, né buen retiro né forme di suicidi, né dolce morte".

Qual è il talento più importante per dirigere il Tg1?
"Ci vuole il fisico. Come dice la canzone: ci vuole un fisico bestiale".

Qui non si fa più sport

Mentre Clemente Mimun riflette su quale delle proposte dell'azienda accettare, a Rai Sport (una delle opzioni possibili per l'ormai ex del Tg1) si denuncia un'"autentica emergenza aziendale". Le ragioni, si legge in un recente comunicato della rappresentanza sindacale interna, sono molteplici: tanto per rimanere solo agli eventi più recenti, "gli show di Moggi in Rai senza contraddittorio; lo spostamento della 'Domenica Sportiva', la più antica trasmissione della tv italiana, da una rete all'altra per far posto a un reality show; gli spazi esigui riservati in palinsesto alla Champions League, nonostante il pesante investimento aziendale; la programmazione in fascia notturna, ben oltre la mezzanotte, della trasmissione legata al turno infrasettimanale di serie A il 20 settembre". Il tutto, si legge, causato dallo "stato di abbandono vissuto da Rai Sport in questi ultimi mesi di assoluta latitanza del direttore di testata". È infatti Fabrizio Maffei il principale obiettivo delle critiche, accusato anche di aver emarginato "professionalità riconosciute" perché impegnate nel Cdr della testata, il sindacato interno. Proprio per segnalare questo stato di cose, oltre cento giornalisti Rai hanno firmato una lettera aperta ai vertici dell'azienda. In questo clima incandescente, con la redazione di Rai Sport che minaccia un'ondata di scioperi, si attende con impazienza la decisione di Mimun oppure la scelta "di un candidato altrettanto credibile". Per invogliare l'ex direttore del Tg1, l'azienda è pronta ad affidargli anche la supervisione dei diritti sportivi, di cui è responsabile da pochi mesi Giuseppe Pasciucco.
Ma per Mimun continuano anche a circolare voci insistenti di un suo passaggio a Mediaset, magari sulla poltrona di direttore di Canale 5, che Giovanni Modina si prepara a lasciare libera. Per quel posto si è anche parlato di un 'trasloco' di Antonio Marano, oggi direttore di RaiDue, ma per ora fioccano solo smentite.

F.S.