La Sardegna va al centrodestra. Cappellacci è il nuovo governatore
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Si sta concludendo lo scrutinio, il candidato Pdl ha circa 8 punti di vantaggio. Il governatore uscente Soru ammette la sconfitta: "Buon lavoro a lui". La coalizione di centrosinistra crolla di oltre 17 punti rispetto alle politiche. Il Pd perde l'11%, sale l'Idv. Pdl giù del 12%, ma recupera con l'Udc e altri
CAGLIARI - Ugo Cappellacci è il nuovo governatore della Sardegna.
Il candidato Pdl, sostenuto e coccolato da Silvio Berlusconi durante la lunga campagna elettorale ha battuto il presidente uscente Renato Soru. A poco meno di duecento sezioni ancora da scrutinare (1.697 su 1.812) il vantaggio è di oltre otto punti percentuali (51,86% a 42,92%). Soru ha ammesso la sconfitta: "Ho chiamato Ugo Cappellacci per augurare buon lavoro a lui e alla Sardegna per i prossimi cinque anni".
Un altro pesante ribaltone, dunque, (il secondo in pochi mesi dopo quello in Abruzzo) del centrodestra sul centrosinistra. Una vittoria che Berlusconi si annette quasi totalmente: "Ci ho messo la faccia - ha detto già dopo i primi risultati nella notte - Non potevo perdere...".
Il crollo del centrosinistra. Ma per il centrosinistra la riflessione si fa ancora più dura se si guarda la differenza tra i voti di lista e quelli del candidato: Renato Soru ha conquistato quasi cinque punti in più della sua coalizione, mentre Cappellacci ne ha presi esattamente cinque in meno. Un disastro: alle politiche dell'anno scorso, Pd e Idv insieme conquistarono il 40,2% finendo sconfitti di poco meno di 3 punti: Pdl e Mpa presero, insieme, il 43,1%.
E' pur vero che, questa volta, insieme al Pdl si è schierato l'Udc che, alle politiche prese il 5,6%, ma col centrosinistra, oggi, c'erano Rifondazione e Pdci che alle politiche, come Sinistra Arcobaleno, raggiunsero il 3,1%. Insomma, a farla breve, la differenza tra le due coalizioni sale al 17 per cento. All'interno di ciascuna, poi, diversi i movimenti significativi. Il Pd scende di undici punti dal 36,2% al 25%, mentre l'Idv sale dal 4% al 5,1%. Nel centrodestra anche il Pdl cala in modo significativo passando dal 42,4% delle politiche al 30,67%. Calo ampiamente recuperato dai Riformatori (6,86%) e dall'Udc che porta alla coalizione addirittura l'8,96%.
Il travaglio nel Pd. Una sconfitta che, ovviamente, pesa anche di più sul Partito Democratico e le sue già travagliatissime vicende interne. Walter Veltroni ha sempre ripetuto che il voto sardo non era un referendum tra lui e Berlusconi ma una sfida regionale, gestita in prima fila da Renato Soru che ha sempre voluto carta bianca sia dal Pd, commissariato dopo lo scioglimento della giunta, sia dagli altri partiti della coalizione. Ma tutti al vertice dei democratici sono coscienti che una sconfitta non può che allargare le fratture interne e accelerare una fase congressuale cominciata nei fatti dopo la discesa in campo di Pier Luigi Bersani.
L'ottimismo iniziale è scemato quando, racconta un dirigente del Pd, "si è capito che a Sassari e a Nuoro, tradizionalmente più vicine a noi, si era vinto ma con un vantaggio stretto". Non sufficiente, quindi, a bilanciare i voti di Cagliari, dove il Pdl è più forte. Ma c'è un altro dato che, man mano che le sezioni scrutinate aumentavano, ha preoccupato i big del Pd, cioè i consensi del Pd intorno al 25%, ovvero undici punti sotto il risultato delle politiche (36,2%).
Perchè tra le varie sfaccettature del voto sardo c'è anche la polemica sotterranea che ha atraversato il rapporto tra Soru e il Pd, con la possibile scesa in campo per puntare alla segreteria del partito sull'onda anche della vittoria dell'outsider Matteo Renzi alle primarie fiorentine rispetto al candidato del partito. Una possibilità che va ora rivalutata alla luce della sconfitta.
Da oggi si faranno i conti. Con tutti gli aspetti del voto sardo si cominceranno a fare i conti. Quello che è certo è che Veltroni non ha alcuna intenzione nè di mollare ma nemmeno di continuare a farsi logorare fino alle europee. Per questo, anche se il congresso non sarà anticipato, come pensano in molti, sarà da rivedere lo schema della conferenza programmatica e magari anche l'assetto del vertice del partito, anche se "ora - spiega un dirigente - i primi a non avere più interesse a fare un comitato di emergenza sono critici e sfidanti, ormai sincronizzati sui tempi previsti del congresso ad ottobre per tirare lì le somme della gestione veltroniana".