Pdl, il solito show del Cavaliere "La sinistra non cambia mai"
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Berlusconi apre il congresso del Pdl e parla un'ora e mezza. Attacca la sinistra, Fini, ricorda Craxi e celebra il governo. Ma quasi mai il leader è davvero trascinante: concetti non nuovi
ROMA - Finisce con il refrain di "Meno male che Silvio c'è" ripetuto ossessivamente mentre la platea si svuota.
Poco fa, lui, Berlusconi, l'uomo che li ha portati fino a qua, che il "popolo" del Pdl adora senza condizioni, ha finito il suo lungo discorso (un'ora e mezza abbondante) gridando "Vi voglio bene, vi vogliamo bene... Teneteci nei vostri cuori". Una scena di un certo pathos ed emozione mitigati, forse, dalla presenza, intorno alla tribunetta di Berlusconi, dei dodici (12) rappresentanti dei partiti, movimenti e partitini che si fondono nel Pdl. Certo, ci sono La Russa (An) e Verdini (Forza Italia), ma anche Giovanardi, Baccini, Alessandra Mussolini, De Gregorio, Dini, Bonocore e persino la Brambilla e Dell'Utri in rappresentanza dei rispettivi circoli e addirittura Sandro Biasotti che porta in dote il suo movimento localissimo ligure. Ecco, questa scena dei "nani" (almeno tre sono incomprensibili pezzetti di vecchia Dc) sorridenti e tronfi intorno al capo, un po' mosche cocchiere di una cosa più grande di loro, fanno calare il tono finale della prima giornata. In platea, sotto il palco, Fini guarda perplesso e applaude appena appena.
Tre ore prima, la giornata era cominciata secondo copione con i delegati del nascente Popolo delle Libertà che hanno invaso la desertica Fiera di Roma e la grande sala allestita con un certo gusto e persino con una certa sobrietà rispetto alle attese. Denis Verdini, uno dei coordinatori di Forza Italia, si sgola perché tutti si sistemino al loro posto senza creare disordine. Il congresso comincia intorno alle 18. La colonna sonora è presto elencata: l'Inno alla Gioia dalla Nona di Beethiven (omaggio all'Europa), quello di Mameli, "Volare", qualche passaggio di "Azzurro" e tanto "Meno male che Silvio c'è". Eseguono, sul palco, un coro e, dietro le quinte, l'orchestra di Morselli.
Calabria, che fino ad ora ha retto bene, molto si sdilinquisce e quasi sembra venir meno nell'annunciare, "Arriva il momento..", che adesso toccherà a Silvio.
Berlusconi parla per un'ora e mezza abbondante con tanti applausi ma quasi mai riesce ad essere davvero trascinante, anche perché, quasi mai, dice cose che questa platea non abbia già abbondantemente sentito. Vediamo: quattro punti, in sostanza: la storia antica e recente che ha portato alla nascita del Pdl, un lungo (già più volte recitato da Silvio) attacco alla sinistra descritta del tutto incapace di rinnovarsi ("Noi, comunque, aspettiamo") e portatrice di tutti i mali della storia, la rivendicazione del ruolo salvifico del suo governo e di tutto il bene che ha già fatto, una parte sulla crisi con un appello al Pdl a rendersi "divulgatori di notizie buone contro il catastrofismo dei giornali della sinistra". Poi, il finale abbastanza di maniera. In mezzo (all'inizio) un saluto a Bossi ("l'unico ospite che abbiamo voluto in questo congresso tra "intimi" che, però, sono la maggioranza del Paese"), un ringraziamento con invito all'applauso per Gianfranco Fini che, però, è suonato un po' come una conferma dell'imbalsamazione a Montecitorio dell'ex delfino e l'annuncio che i sondaggi ("quelli veri, non quelli fasulli") danno il Pdl al 43,2%. "Possiamo puntare al 51% - urla - E sono certo che ci riusciremo".
Stranamente, al nuovo partito che nasce, Berlusconi dedica quasi meno parole che all'avversario ("la sinistra") e ne costruisce una definizione storica: "La nostra è una rivoluzione liberale, borghese, moderata e interclassista che colma un vuoto del nostro paese che non ha mai avuto una rivoluzione liberale vera e propria come in Francia e in Germania". Per Berlusconi questo vuoto è alla base della dittatura fascista e del cattivo rapporto tra Stato e cittadino. Cattivo rapporto, par di capire, che è tutta responsabilità della sinistra che ha reso il cittadino "servitore di uno Stato Moloch e totalizzante". Noi, assicura il premier, siamo quelli secondo i quali, lo Stato deve aiutare e sostenere il cittadino nella realizzazione della sua felicità. Poi spiega il significato della parola "Popolo": "Un significato costituzionale. La Costituzione dà il potere al Popolo. Noi siamo il Popolo". Quindi il potere è dove deve essere.
Poi, si diceva, il lungo capitolo dell'attacco alla sinistra, la rivendicazione del riformismo anche in chiave istituzionale ma evitando di far arrabbiare Fini con strani disegni sul Parlamento e un finale dedicato al "patriottismo costituzionale", all'unico governo riformista possibile, ai trionfi presenti e futuri del centrodestra. Unica concessione agli avversari: "Vi aspettiamo se cambiate, se diventate socialdemocratici". Franceschini? Bocciato perché cerca solo di salvare il salvabile rinnegamdo il suo predecessore. Veltroni? "Per qualche giorno gli abbiamo creduto. Poi abbiamo capito e l'abbiamo sconfitto".
Finisce con i partitini che si beano sul palco intorno al "capo" che, molto accondiscendente, dà a ciascuno un pezzetto di visibilità prima che spariscano per sempre nel grande ventre del Pdl. Domani si entra nel vivo. La Russa dice che sarà congresso vero. Fini ha fatto sapere di essere complessivamente soddisfatto perché Silvio ha citato la sua battuta congressuale sullo sdoganamento ("le idee non si sdoganano") e perché questo conferma che An non si scioglie in Forza Italia.. Vedremo come se la caverà il presidente della Camera.
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