Sandri, Spaccarotella condannato. Sei anni per omicidio colposo. Il padre: "È una sentenza vergogna"
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La corte d'Assise di Arezzo ha condannato a sei anni di reclusione il poliziotto Luigi Spaccarotella, che l' 11 novembre 2007, nell'area di servizio Badia al Pino, vicino ad Arezzo, uccise con un colpo di pistola il tifoso laziale Gabriele Sandri.
Il poliziotto, imputato di omicidio volontario, è stato dichiarato colpevole di omicidio colposo. Il pm aveva chiesto una pena di 14 anni di reclusione per omicidio volontario per dolo eventuale. Subito dopo la lettura del dispositivo, vi sono state urla in aula contro i giudici. La madre di Sandri ha avuto un malore ed è dovuta intervenire un'ambulanza. "E' una vergogna per tutta l'Italia", ha commentato Giorgio Sandri, padre di Gabriele, ha commentato la condanna a sei anni per l'agente Luigi Spaccarotella.
Urla del pubblico alla lettura della sentenza. Al momento della lettura della sentenza contro il poliziotto Spaccarotella, condannato a sei anni per omicidio colposo, dal pubblico hanno urlato contro la corte "vergogna, buffoni". Le stesse parole sono state ripetute quando il pubblico è defluito dal palazzo di giustizia di Arezzo. C'è rabbia e delusione tra gli amici e i parenti di Gabriele Sandri perché la Corte d'Assise di Arezzo che ha derubricato da omicidio volontario a omicidio colposo la condanna per l'agente Luigi Spaccarotella. Alcune amiche di 'Gabbo' sono scoppiate in un pianto a dirotto. Una di loro si è sentita male ed è stata soccorsa dai sanitari.
Tensione all'esterno del tribunale. Fuori dal tribunale di Arezzo circa una trentina di tifosi biancocelesti hanno urlato contro i giudici e contro il poliziotto, che non era presente in aula, gridando 'Bastardo', 'Verme infame e schifoso' e 'In questo paese non c'è giustizià.
Il fratello di Gabbo invita alla calma. "Non uccidiamo per la terza volta Gabriele. Basta, facciamola finita". Così Cristiano, fratello di Gabriele, riporta alla calma i tanti amici del Gabbo, tifosi laziali che avevano iniziato a urlare e a inveire contro la sentenza