Indagine sopra un’indagine
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Le zone d’ombra e le domande che mancano nell’inchiesta su don Conti, accusato di abusi su minori. Parla Fortunato Di Noto, il prete più odiato dai pedofili
«C’è un inghippo iniziale, qualcosa che non quadra».
Don Fortunato Di Noto, fondatore e presidente dell’associazione per la lotta alla pedofilia Meter, promotore della Carta di Noto e del Protocollo di Venezia (due documenti che indicano le linee guida alle quali gli esperti dovrebbero attenersi nell’affrontare casi di abuso sessuale su minori), non ama troppo l’esposizione mediatica. Però sulla vicenda di don Ruggero Conti, il parrocco della Natività di Maria Santissima a Roma accusato di avere abusato di sette minori, fa un’eccezione: «Questa volta voglio sbilanciarmi», confida a Tempi prima di elencare tutti i particolari che non gli tornano in questa storia. Di Noto comincia proprio da una dichiarazione rilasciata da uno degli avvocati delle vittime a questo settimanale: si vedrà nel corso del dibattimento se le accuse prenderanno corpo. «È vero, sarà il dibattimento a mettere un paletto sulla verità», osserva il sacerdote antipedofili. «Ma è anche vero che gli elementi che arrivano al processo nascono dagli atti acquisiti prima». Don Di Noto è entrato in contatto con questa storia «perché sono stato inondato da richieste di ragazzi e genitori che credevano nell’innocenza di don Ruggero. Conti è un sacerdote molto conosciuto a Roma. Allora mi sono informato. Ho letto i capi d’accusa del pubblico ministero nella richiesta di rinvio a giudizio e stralci delle dichiarazioni delle vittime. Ho sentito molte persone che testimoniavano l’innocenza di don Ruggero. E ho chiesto informazioni anche all’associazione “La caramella buona” (la onlus per la lotta alla pedofilia che si è costituita parte civile al processo contro il prete, ndr)».
Precisa don Di Noto: «Non intendo fare un processo a mezzo stampa, né difendere a spada tratta don Ruggero: di questa vicenda non conosco che pochi elementi. Ma vorrei intervenire su modalità d’indagine che s’innestano in questi casi e che andrebbero meglio valutate». La prima obiezione di don Di Noto riguarda le procedure che si sarebbero dovute mettere in atto da subito, di fronte alle accuse dei ragazzi: «Grande importanza ricopre il ruolo di chi le raccoglie, di solito la stazione dei carabinieri. Ma un abuso su un minore non è uguale a un furto. Chi raccoglie le denunce dovrebbe affidarsi all’analisi attenta e puntigliosa delle indicazioni (che non sono vincolanti) della Carta di Noto e del Protocollo di Venezia». Quest’ultimo documento, in particolare, tratta principalmente degli abusi collettivi, «e quello di don Ruggero è un caso di presunti abusi su sette minori: potrebbe rientrarvi». E cosa prevede questo documento redatto con esperti delle università di Padova e di Torino, che nel caso di don Ruggero sembrerebbe non essere stato applicato? «Prevede che siano adottati criteri affinché, scientificamente e non solo emotivamente, si possano convalidare le dichiarazioni delle vittime. Ad esempio, è fondamentale l’intervento degli esperti. Per carità, bravissimi tutti i carabinieri e i pm. Ma servono anche persone che conoscono questo campo delicato di indagine. Per evitare, soprattutto, di porre domande suggestive ai ragazzi. Ancora: secondo il Protocollo di Venezia, l’esperto è chiamato a valutare eventuali segni di di-
sagio, o sintomi di disturbi comportamentali ed emotivi. Bisogna tenere conto del contesto in cui i ragazzi vivono. Chiedo: è stata fatta un’indagine in tal senso? E poi: tutti i colloqui andrebbero videoregistrati, e l’esperto deve intervenire per convalidare quello che si dice. Nel caso di don Ruggero mi sembra ci siano solo i verbali delle accuse, perizie informatiche e intercettazioni. Quando si ascoltano dichiarazioni di minori, come in questo caso ha fatto il pm, andrebbe ricordato che esistono precise metodologie che specificano come chiedere, per quanto tempo, chi dev’essere presente e persino cosa far trapelare ai genitori. Non si può improvvisare. Proprio perché sono coinvolti più minori, andrebbe ricostruita la genesi del primo sospetto: da cosa è cominciato tutto. È stato fatto? E sono state verificate eventuali influenze tra le dichiarazioni dei ragazzi? E le modalità e le entità di diffusione della notizia dei presunti abusi, sono state controllate? Per quel che so, la risposta è no. Specifico: quelle descritte nella Carta di Noto e nel Protocollo di Venezia non sono modalità di indagine vincolanti, però andrebbero seguite. Un processo che parte male prosegue peggio. Il caso di Rignano Flaminio è un esempio di indagine partita male. Le testimonianze raccolte da una psicologa sono state prese senza criteri scientifici».
La replica della parte civile
Tempi ha cercato di verificare se durante le testimonianze rese dalle presunte vittime al pm Francesco Scavo Lombardo fosse presente anche uno psicologo o un esperto. Nino Marazzita, avvocato di parte civile di due presunte vittime e dell’associazione La caramella buona, risponde: «Quello di Noto è il protocollo più all’avanguardia rispetto a tutti i protocolli del mondo, don Di Noto è uno dei 50-60 estensori. Don Di Noto non ha nessuna autorità a intervenire su un processo di cui non conosce niente, in un momento in cui il processo deve cominciare: aspetto il contradditorio. I ragazzi sono maggiorenni, non è possibile fosse presente uno psicologo, è vietato dalla legge». Invece alla domanda se risultino accertamenti da parte degli inquirenti su possibili influenze reciproche tra i ragazzi nelle loro dichiarazioni, Marazzita replica che «è parte del nostro segreto professionale». Per quanto riguarda, invece, l’unico ragazzo a tutt’oggi ancora minorenne che si è costituito parte civile al processo (sedicenne quando fu sentito dal pm), l’avvocato Guido Lombardi fa sapere che «la persona offesa ha deciso di non rilasciare interviste». Di Noto ribatte a Marazzita: «Non ho nessuna autorità per parlare? È vero, infatti le mie sono solo domande su alcune procedure usate in quest’inchiesta. Tutti hanno l’autorità per dichiarare qualunque cosa, mentre il sottoscritto non ha neppure libertà di porre delle domande?».
Il sacerdote siciliano torna a precisare: «Non dico che Conti è innocente e i ragazzi pazzi, né il contrario. Però ci sono zone d’ombra». Uno degli episodi che lo lascia perplesso, ad esempio, riguarda proprio le modalità con cui sono stati chiesti chiarimenti a un ragazzo che denunciava gli abusi subìti. «Il ragazzo dice di non ricordare esattamente, allora il pm gli chiede di essere preciso, se si trattasse di venti o trenta episodi, per esempio. Ma questa è una domanda suggestiva: chi interroga non dovrebbe mai quantificare, ma essere asettico. Il Protocollo di Venezia chiede proprio di non “utilizzare modalità di induzione della narrazione che possano alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti da parte del minore”». Conclude l’esempio don Di Noto: «Lo stesso ragazzo, in seguito, ha parlato di quattromila episodi di abusi in sei anni. Ma se così fosse, don Ruggero quando avrebbe potuto farlo il parroco? Andiamo: se consideriamo anche le altre accuse che riguardano lo stesso periodo, don Ruggero avrebbe dovuto commettere abusi anche mentre celebrava Messa!».
Approssimazioni agli atti
Un’altra zona d’ombra secondo don Di Noto è l’episodio del campeggio. Una presunta vittima afferma di essere stata costretta da don Ruggero a subire atti di sesso orale mentre dormiva su un letto a castello, in camera con altri tre coetanei che non si sarebbero accorti di nulla. Ragiona Di Noto: «Da una parte c’è don Ruggero, un armadio d’uomo, dall’altra tre adolescenti, all’epoca, di circa 14 anni. Gli adolescenti oggi sono molto più smaliziati di un tempo. Possibile che nessuno si sia accorto di nulla? Ma che erano, sotto sonniferi? Sarebbe plausibile se si trattasse di bambini piccoli, che non comprendono il significato di certi atti, ma non in questo caso, e non in una camerata, dove si avverte il minimo rumore. E poi per svincolarsi da un atto orale basterebbe un morso… Insomma ho seri dubbi su questa versione. Come su un’altra affermazione della stessa vittima: dice di essere passata, la settimana successiva, in camera di don Ruggero. Ma come, ha subìto abusi da un uomo che fa schifo, che fa cose schifose, perché poi si apparta con lui? Perché non scappa? Perché non lo prende a calci? Insomma. Oggi possiamo interrogare con un metodo scientifico, studiato per non condannare la gente ingiustamente. Rispetto il lavoro del magistrato, ma credo che non si possa andare avanti a emozioni: non si rende giustizia nessuno».
Anche sui capi d’accusa scritti dal pm Scavo Lombardo nella richiesta di rinvio a giudizio per don Conti Di Noto solleva una perplessità: «È stato valutato il livello di suggestionabilità del minore? I ricordi labili vanno approfonditi. Sul capo d’accusa, che per giunta presuppone le indagini, si legge invece: “Approssimativamente nel mese…”, “in luogo imprecisato, in data imprecisata”».
Il fondatore di Meter, che è anche vicepresidente dell’associazione internazionale Innocence en danger, solleva altri interrogativi. «Premetto. Sono l’unico sacerdote che ha scritto una lettera aperta ad altri preti, proprio sugli abusi: chi compie quegli atti non deve né può fare il prete. C’è un però. Conosco l’associazione La caramella buona, che si è costituita parte civile in questo processo. E conosco personalmente il presidente della onlus, Roberto Mirabile, da molti anni: a lui mi sono rivolto per chiedere lumi sul caso. E mi sembra strano l’avanzamento eccessivo di anticattolicesimo che riscontro in questa vicenda. Meter è una realtà pioniera nella lotta alla pedofilia, c’eravamo anche prima de La caramella buona. Ed è proprio la serietà della nostra esperienza che mi spinge a dire: stare dalla parte delle vittime non è un partito preso. Stiamo senza dubbio dalla parte delle vittime, ma non va dimenticato che fino a prova contraria l’accusato è innocente. Altrimenti si rischia di creare un far west».
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