Pugno di ferro del regime a Teheran. Tra gli imputati molti leader del governo Khatami magri e con le divise da carcerati. Cento persone in aula senza avvocati, senza familiari né giornalisti. Incredibili confessioni: "Costretto ad andare in piazza da Karroubi..."



L'ex vicepresidente Ali Abtahi durante la "confessione" in tribunale

Sono entrati nell'aula irriconoscibili, magri, terrei, l'ombra di sé stessi, vestiti di quei pigiami grigi che sono le uniformi delle carceri iraniane.

Ali Abtahi, ex vicepresidente, un hojatoleslam; Abdollah Ramezanzadeh, ex portavoce del governo Khatami; Mohsen Mirdamadi capo del partito riformatore Mosharekat, l'ex viceministro degli Esteri, Mohsen Amizadeh, e l'ex vicepresidente del parlamento Behzad Navabi.

Dopo che non è riuscito con la violenza, le intimidazioni, i raid notturni nelle case e le torture a tacitare la protesta degli iraniani contro chi ha rubato il loro voto, il regime prova dopo sette settimane a stroncarla con processi farsa di staliniana memoria. Cento persone sono comparse ieri davanti al tribunale della rivoluzione di Teheran. Senza avvocati, senza la presenza di familiari, senza giornalisti. Ma c'è da scommettere che le loro immagini appariranno presto sulla tv di Stato. Una metà degli imputati erano stati arrestati giovedì, nel "giorno di Neda", quando gli agenti della polizia segreta hanno impedito con la forza la commemorazione degli uccisi.

Le fotografie mostrano in prima fila Ali Abtahi, irriconoscibile da quanto è dimagrito, privato del turbante di seyyed, il primo a cui è stata estratta una piena "confessione". L'avevo visto l'ultima volta alle prime manifestazioni dopo il 12 giugno, sempre sorridente, ottimista, ancora fiducioso che il regime ci avrebbe ripensato, che i voti sarebbero stati ricontati, che nessun governo islamico avrebbe potuto permettersi un tale affronto all'onore e alla dignità dell'Iran. Il giorno dopo era stato arrestato, e dopo poco era circolata una foto di lui in lacrime. "Ho sbagliato a prendere parte alle manifestazioni, l'elezione di Ahmadinejad è stata senza brogli, sono gli altri che hanno tradito" si legge nella "confessione". "I riformisti hanno cercato di intrappolare la Guida suprema.. I brogli sono stati un'invenzione per sobillare la rivolta e farci finire come l'Iraq e l'Afghanistan, mettendo fine alla rivoluzione khomeneista. E' stato Karroubi a spingermi ad andare in piazza, mi disse che con i pochi voti che avevamo preso dovevamo andarci di persona altrimenti nessuno ci avrebbe seguìto". A completare la perfidia del regime, la "confessione" termina con un'accusa di tradimento a Khatami, al quale era stato legato da sempre, e a Hashemi Rafsanjani. "Avevano fatto un accordo con Moussavi per non tradirsi reciprocamente" si legge ancora nella "confessione". "Khatami conosceva il potere e l'intelligenza della Guida suprema. Il suo è stato un tradimento", pari a quello di Rafsanjani, che "voleva vendicarsi della sconfitta inflittagli da Ahmadinejad quattro anni fa".

Il giorno prima del processo l'agenzia Fars aveva mandato una notizia da far venire i brividi. Sotto un titolo apparentemente neutro - "Sanzioni previste dal codice penale islamico per coloro che hanno sobillato disordini" - l'agenzia, che è una diretta emanazioni di Ahmadinejad, elencava: "Riunione di due o più persone per mettere in pericolo la pace interna: da due a dieci anni; propaganda contro la Repubblica islamica: da tre mesi a un anno; complotto per cambiare il regime, possesso di armi e creazione di gruppi militanti: pena di morte".

Gli imputati ora alla sbarra sono accusati di terrorismo, sovversione e di campagna mediatica per screditare il risultato del voto. Secondo la Fars, in aula hanno confessato altri quattro imputati, tra i quali l'ex viceministro Mostafa Tajzadeh.

Lunedì il Leader Khamenei condurrà una cerimonia in cui verrà formalmente approvato il secondo mandato di Ahmadinejad e due giorni dopo questi giurerà di fronte al parlamento. "La Guida suprema ha tradito la sua funzione" gridavano giovedì i manifestanti. "Gli iraniani sanno che il mondo li ascolta" dice da New York Akbar Ganji, che ha fatto uno sciopero della fame davanti all'Onu. "Se Ahmadinejad riesce a mettere a tacere gli oppositori molti all'estero concluderanno che la vicenda è finita, ma sbaglieranno" dice il presidente del Consiglio nazionale iraniano-americano Trita Parsi. Parsi chiede ai governi occidentali, e prima di tutto a Obama, una "pausa tattica" con l'Iran: "L'Iran non è oggi in grado di negoziare, le lotte interne rendono impossibile ogni decisione. Rinviare i colloqui nucleari per alcuni mesi non farà grande differenza rispetto al programma nucleare iraniano ma potrebbe invece determinare con quale Iran avremo a che fare nelle prossime decadi".


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