IL RETROSCENA. Il presidente della Camera dopo il nuovo attacco di Feltri. "Così il partito muore". In arrivo la lettera dei 50 dissidenti. Stavolta Silvio non si è dissociato pubblicamente: "Non potevo, sarei stato ridicolo"

Gianfranco Fini


ROMA - "È una minaccia in stile mafioso". Su tutte le furie per l'articolo di Vittorio Feltri, il presidente della Camera ha scelto di non replicare al Giornale, ma di far arrivare ugualmente chiaro e forte il suo pensiero ai vari ambasciatori del Cavaliere che hanno provato a parlarci.

Raccontano infatti che Berlusconi abbia mandato avanti, oltre a Gianni Letta, anche altri pontieri come Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello per tentare di abbassare la temperatura dentro al Pdl. "Io non c'entro nulla con quello che ha scritto Feltri", è il messaggio del premier recapitato dalle colombe (tra cui anche La Russa e Gasparri) sul davanzale di Fini, "ma non potevo dissociarmi in pubblico per l'ennesima volta, sarebbe stato ridicolo". Poco persuaso dalla giustificazione del presidente del Consiglio, Fini per ora ha lasciato cadere l'ipotesi di un incontro in settimana con Berlusconi. E il Secolo d'Italia, la centrale finiana guidata da Flavia Perina, oggi apre condannando la "strategia dell'infamia" e, in un editoriale, bolla appunto come "messaggi mafiosi" quelli di Feltri. Non proprio il clima ideale per un riavvicinamento.

C'è poi la questione della lettera al premier annunciata ieri da Italo Bocchino. Un documento per contarsi e smentire l'immagine di un Fini isolato nel suo stesso partito. E per dire che la Lega ha troppo peso nelle scelte di governo. Nessun mistero che un'iniziativa del genere sancirebbe di fatto la nascita di una corrente, preludio forse di quella scissione che alcuni, tra i finiani, agitano come una minaccia concreta. Sarà per questo che l'autore della lettera spiega che "non c'è fretta, raccoglieremo le firme nei prossimi giorni. E vediamo quale clima ci sarà fra i due nelle prossime 48 ore". Insomma, la pistola resta sul tavolo. "Anche perché - spiega un altro finiano coinvolto nell'iniziativa - i 50 deputati che la firmeranno avranno un significato politico preciso: far capire a Berlusconi che non ha la maggioranza senza di noi e non può andare da Napolitano a pretendere le elezioni anticipate in caso di crisi".

Insomma, al momento i due generali si fronteggiano in attesa di segnali. Uno di questi potrebbe essere il via libera di Berlusconi alla candidatura di Renata Polverini nel Lazio, caldeggiata da Fini. Oltre naturalmente alla convocazione della direzione e dell'ufficio di presidenza del Pdl. E tuttavia la vera questione resta quella del peso del Carroccio. Come Fini ha ribadito ieri con quanti lo hanno cercato, "ormai sembra che il Pdl sia un partito del 15 e la Lega del 40 per cento. Berlusconi non capisce che così il Pdl muore".

Se Fini è arrabbiato perché "di fronte a chi solleva delle questioni politiche si risponde con il fango e le minacce", di certo nemmeno Berlusconi, nonostante l'opera dei pontieri, smania per riavvicinarsi al presidente della Camera. Lo descrivono piuttosto come "impegnato in altre cose più concrete", come la consegna delle case ai terremotati d'Abruzzo, "lontano da questa politica che non interessa affatto ai cittadini". E tuttavia anche ad Arcore arrivano i rumors sulle grandi manovre in corso per far cadere il governo. Con una data fissata, quelle delle regionali di marzo. Come scriverà oggi Quagliariello su l'Occidentale, "si avverte nostalgia per le formule alchimistiche. Per i disarcionamenti violenti di chi sta in sella "solo" per volere degli elettori".

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