Pietro Antonio è tornato a casa. Giù il cappello per l’eroe di Kabul
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Galatina si ferma per il saluto all’agente segreto Colazzo. Oggi i funerali nella chiesa Matrice in piazza S. Pietro
LECCE - Il corpo dell'eroe è tornato. Il suo segreto no. Pietro Antonio Colazzo, 47 anni, numero due dell'Aise, l'Agenzia di informazioni e sicurezza esterna ucciso sabato scorso a Kabul, è stato accolto da un migliaio di galatinesi schierati in due ali di folla in piazza San Pietro davanti alla chiesa Matrice dedicata ai santi Pietro e Paolo.
Il carro funebre con dentro la bara avvolta nel tricolore è arrivato all'aeroporto militare alle 20 e 40. Poco meno di un'ora dopo era in piazza, dove «il dottore» è stato salutato da uomini anziani che si sono tolti il cappello e donne in lacrime. C'erano anche tanti giovani incuriositi da quella storia non comune il cui tragico epilogo somiglia ad un film più che alla caduta sul campo di un agente segreto. Partito da qui, da Galatina. Dietro la bara sua sorella Stefania, i cognati ed una cugina mentre la piazza ha osservato la scena in un silenzio corale sciolto tre minuti dopo da un lungo applauso. Poi l' «eterno riposo» recitato da tutti ha accompagnato la bara in chiesa. Porte chiuse alle ventidue e veglia riservata ai familiari.
Galatina potrà salutare il suo eroe questa mattina dalle otto, prima della cerimonia funebre che inizierà alle tre del pomeriggio. Sarà officiata dal vescovo di Otranto Donato Negro con l'Ordinario militare italiano Vincenzo Pelvi. Ai funerali è prevista la partecipazione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta. Nessuno conosceva lo 007 nato qui. Tutti hanno saputo della sua storia dai giornali. E sono venuti in piazza san Pietro per un atto di omaggio al concittadino che è caduto sul teatro di guerra in un Paese non pacificato mentre salvava i suoi uomini e dava indicazioni alla polizia afghana per individuare gli attentatori kamikaze piombati sabato mattina nell’hotel Park Residence di Kabul. L’autopsia dice che Pietro Antonio Colazzo è stato raggiunto da tre colpi di arma da fuoco. Due al torace ed uno alla gamba destra. Fatale per lui, il colpo che ha perforato la schiena. Sul sagrato della chiesa Matrice carabinieri in alta uniforme, poco lontano il prefetto di Lecce, Mario Tafaro. Non c’è il sindaco perché Galatina, trentamila abitanti, è gestita dal commissario prefettizio. La cittadina salentina sceglierà il suo nuovo sindaco con le elezioni di fine mese. La gente comune è arrivata qui per salutare l’illustre concittadino. Reso famoso da una fine eroica che ha commosso tutti. Quale fosse il lavoro del «dottore» non era noto neppure ad alcuni tra i familiari più stretti. La conferma arriva da Luigi Serafino, zio materno di Pietro Antonio Colazzo, che fa fatica a tenere fuori i galatinesi che vorrebbero aspettare l’arrivo del corpo di suo nipote in chiesa: «Non lo vedevo da due anni - racconta - avevo saputo di una sua toccata e fuga a Galatina qualche tempo fa, ma si è fermato poco. Sicuramente non ha avuto il tempo di salutare nessuno».
Zio Luigi ha saputo della morte del nipote 007 da un amico: «Mi ha telefonato in ufficio a Brindisi dove lavoro. Io del mestiere di mio nipote non ho mai saputo niente. E per la verità neppure i carabinieri che hanno informato la famiglia ci hanno detto granché. Ricordi? Pochi. Pietro era intelligentissimo, questo sì lo posso dire». Poco lontano altri concittadini dello 007 si raccolgono per commentare quella morte letta sui giornali. «Non lo conoscevo - spiega una ragazzina che non ha neppure sedici anni - ma voglio essere qui per vedere questa storia vera». Altri giovani sono amici dei cugini di Pietro Colazzo. Ma è inutile provare a chiedere aneddoti o storie che potessero aiutare a capire quale fosse il rapporto tra il numero due dell’Aise e la sua terra d’origine. Nessuno sa niente, nessuno può ricordare. «Magari qualcuno nella sua famiglia sì - racconta Antonio - perché so che tra loro ci sono diversi carabinieri o appartenenti alle forze armate». Solo ipotesi accompagnate da spalle che si stringono in dubbi. E l’ultimo freddo di un lungo inverno appena finito non c’entra. Il ritorno a casa dell’eroe sconosciuto nel suo paese d’origine è un raccoglimento intimo. I galatinesi arrivati in piazza per salutarlo non riescono a nascondere la fierezza dell’appartenenza nonostante il dolore. Tutti non lo conoscevano. E tutti ora dicono: era uno di noi.