Il procedimento, innescato da una denuncia contro ignoti del giornalista e presidente dell'IdD Antonello De Pierro, che vede imputato il noto professionista e politico, accusato di falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica utilità, ha subito un altro rinvio

Roma  - "Mi sono sempre aggrappato alla giustizia come etica di un Paese". Sono queste le parole con cui Antonello De Pierro, il noto giornalista e presidente del movimento politico Italia dei Diritti - De Pierro, ha concluso la sua escussione testimoniale resa nel processo contro l'avvocato e politico Alessandro Zottola, che si sta celebrando presso il tribunale di Roma.

Ed è forse questo l'assunto concettuale che gli ha dettato l'ispirazione quando ha deciso di proporre una denuncia querela contro ignoti, che al termine alla conclusione delle indagini preliminari ha indotto l'attento pubblico ministero Giancarlo Cirielli a rinviare a giudizio l'affermato professionista di Ostia, popolare anche per il suo impegno nelle file della Democrazia Cristiana in qualità di segretario provinciale romano del dipartimento Legalità e Giustizia, attribuzione mansionale affidatagli dal segretario nazionale Angelo Sandri. L'accusa formulata dall'ottimo dottor Cirielli e ascritta alla competenza decisionale dell'accorta e lodevole giudice Emilia Conforti è falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità. Il processo, giunto ormai alle ultime battute, nell'ultima udienza ha fatto registrare un ulteriore rinvio, in un'aula gremita di giornalisti, accorsi per assistere al processo per diffamazione ai danni di Giuseppe Zeno, azionista di minoranza della "Visibilia Editore Spa", contro Daniela Garnero, meglio conosciuta come Santanché, parlamentare e attuale ministra del Turismo nel governo Meloni, procedimento, quest'ultimo, sospeso per l'invio degli atti al Senato, che dovrà valutare le condizioni di procedibilità, come richiesto dalla difesa.

Quindi per conoscere l'esito del procedimento contro l'avvocato Zottola bisognerà ancora attendere.

I fatti che hanno condotto il legale sul banco degli imputati prendono le mosse da una vicenda che aveva coinvolto proprio lo stesso De Pierro, il quale era stato querelato anni fa da un poliziotto in servizio presso la questura di Roma, Giuseppe Pescopagano. Le ragioni che avevano spinto quest'ultimo a esercitare il diritto di querela risiedevano nel fatto di essersi sentito diffamato da alcuni articoli pubblicati su varie testate, in cui, pur non essendo espressamente citato, si era riconosciuto.

L'esito delle indagini preliminari, di cui era titolare proprio Cirielli, condusse  all'accusa di diffamazione a mezzo stampa e al rinvio a giudizio anche del leader dell'Italia dei Diritti - De Pierro, in qualità di direttore responsabile di Italymedia.it.

La qualificazione del reato, come spiegato in sede di escussione testimoniale, apparve alquanto singolare al reporter e politico romano, già dalla lettura del capo di'imputazione. Come precisato al banco dei testimoni aveva alquanto trasecolato quando dalla lettura degli atti d'indagine aveva appreso che l'accusa di diffamazione era riconducibile al ruolo di direttore responsabile, il quale, come prescritto dall'impianto normativo in vigenza, in caso articoli diffamatori pubblicati sulla testata che dirige, può incorrere nella censura, di natura colposa, dettata dall'articolo 57 del codice di rito penale per aver omesso di esercitare, sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario a impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, ma non nel reato di diffamazione a mezzo stampa, di cui risponde il redattore dell'articolo sotto accusa. Nel caso di specie De Pierro, come ha chiarito anche l'istruttoria dibattimentale del processo a cui è stato sottoposto e al termine del quale è stato assolto per non aver commesso il fatto, non era il direttore responsabile di Italymedia.it, che per di più non è nemmeno un periodico, ma soprattutto non aveva redatto l'articolo incriminato. Come raccontato alla giudice Confroti, la sua attenzione si era soffermata particolarmente poi sulla costituzione di parte civile depositata dal querelante Pescopagano tramite l'avvocato Zottola, che lo rappresentava, con un preteso risarcimento di 30.000 €. Incredulo a fronte di una richiesta di ristoro dei danni considerata esosa, tanto più sapendo di essere assolutamente estraneo, come è stato poi accertato dalle risultanze processuali, alle circostanze fattuali per cui era accusato, aveva letto e riletto più volte l'atto. E proprio durante questo attento esame, quando il suo sguardo si è soffermato sulla firma apposta dalla parte offesa ha nutrito qualche dubbio sulla sua autenticità. Ha deciso così di commissionare una perizia a una nota grafologa, con una lunga esperienza nell'alveo giudiziario, il cui esito ha fornito conforto ai suoi sospetti. In forza della statuizione peritale acquisita aveva deciso di proporre una denuncia querela a seguito della quale il dottor Cirielli aveva subito nominato un consulente tecnico d'ufficio, nella persona della dottoressa Giulia Ciciani, e dalle conclusioni di quest'ultima è emersa una conferma delle esplicitazioni della perizia precedente. Ma la dottoressa Ciriani, come dichiarato in aula con grande sicurezza, aveva individuato un altro particolare. La sua disamina grafologica aveva statuito che oltre a quella del suo assistito anche la firma dell'avvocato Zottola era apocrifa.     

    A fronte di due relazioni peritali che affermano con fermezza l'apocrifia della firma apposta dalla persona offesa sull'atto in questione e addirittura una, quella commissionata dal pubblico ministero, che non è autentica nemmeno quella apposta dall'avvocato Zottola, ossia quella deputata all'autenticazione dell'altra, aveva sorpreso non poco l'escussione testimoniale di Pescopagano, il quale aveva dichiarato in aula sotto giuramento, in netto conflitto con le risultanze grafologiche attestate da due autorevoli professioniste e confermando di fatto ciò che aveva già riferito alla polizia giudiziaria in sede di indagini preliminari, che l'atto incriminato è stato sottoscritto personalmente da lui. Il processo in corso dovrebbe scrivere la verità, alla luce di un netto contrasto tra l'esito di due autorevoli perizie e le affermazioni di un teste a cui quella firma è riconducibile, ma probabilmente, almeno in questo procedimento, l'imminente prescrizione, salvo una rinuncia da parte dell'imputato, negherà questa possibilità.