Il nuoto piange Alberto Castagnetti
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Se ne va il tecnico italiano che ha portato il nuoto in cima al mondo. La Pellegrini: «Ho perso un padre». Nei giorni scorsi era stato operato al cuore
Ventidue anni fermo nello stesso posto, con il cronometro al collo a misurare record perché Alberto Castagnetti era l’uomo dei record del nuoto italiano. Ha iniziato ad allenare la nazionale nel 1987 e non ha mai smesso, lasciava il bordovasca per le serate di poker, per scorrazzare su macchine veloci pronte a riportarlo sempre a casa, a Verona, dalla famiglia e dai suoi ragazzi che lasciava a mollo per ore senza sentire ragioni. Li maltrattava, li spremeva e cercava di tirar fuori «quello che c’è sotto, il talento vero». Metteva in crisi gli atleti con allenamenti da massacro e provocazioni verbali continue. Pretendeva l’impossibile e spesso lo otteneva, come è successo con Federica Pellegrini.
Con lui hanno resistito solo i migliori e tanti si sono lamentati di quel metodo sfinente che non concedeva tregua né attenzioni. Non a caso lo chiamavano «il pescatore d’oro» e di ori olimpici ne ha portati a casa quattro, oltre a due argenti e 7 bronzi. Era uno eccessivo, sregolato, passionale e testone, non ha mai voluto un cellulare, non ha mai voluto cambiare idea su nulla. Si aggrappava a poche frasi, a pochi amici, a pochi nuotatori e dentro la nazionale qualcuno mugugnava perché lui non era il ct di tutti. Era il ct di chi sapeva capirlo e seguirlo, perfetto per chi era disposto a farsi torturare, a credergli ciecamente e a dargli retta senza metterlo in discussione. Almeno sulle questioni tecniche.
Non era tipo da coccole, ma da lacrime sì. Ex atleta ha partecipato alle Olimpiadi di Monaco del 1972 e ai Mondiali di Belgrado nel 1973, poi ha iniziato a inseguire il progetto di una scuola di nuoto e mentre raccoglieva fondi ha incrociato Giorgio Lamberti e insieme hanno cambiato strada. Castagnetti è diventato il suo allenatore, lo ha spinto a un record del mondo nei 200 stile libero e a un titolo mondiale ed è entrato nel giro azzurro. Gli è capitata tra le mani la generazione dei Brembilla, Rosolino e Fioravanti, il suo secondo pupillo, il suo primo oro ai Giochi, la consacrazione. Non si vergognava di farsi vedere stravolto, quando il tabellone illuminava cronometri mai visti, lui vagava con gli occhi rossi. Singhiozzava rumorosamente. L’ultima volta è successo a Roma, ai Mondiali dominati dalla sua figlioccia, dalla donna che è persino riuscita ad ammorbidirlo a furia di successi: Federica Pellegrini.
I due si sono conosciuti quando lei era una baby, si sono frequentati per un argento preso alle Olimpiadi di Atene, ma era troppo presto per mettersi a lavorare insieme. Il momento magico è arrivato dopo gli Europei del 2006, lei si era appena tatuata l’araba fenice sul collo e lui era curioso di capire «che vuol dire rinascita a 18 anni». Lo ha scoperto, sono rinati insieme perché all’inizio Pellegrini si è lasciata mettere sotto poi ha iniziato a sfidarlo. E a lui la sfida piaceva. In coppia hanno vinto tutto: ori olimpici e mondiali, primati a raffica, limiti abbattuti e ormai avevano un vocabolario tutto loro per farsi i complimenti. Mai diretti. Lei ringraziava e si lamentava per qualche sgarbo: «Non ci credeva abbastanza», «la deve smettere di lamentarsi perché sono fidanzata con Luca Marin», «deve stare fuori dalla mia vita privata», «sono una donna non una bambina». Castagnetti rilanciava sempre: «Può fare di meglio», «è solo all’inizio», «crede di sapere tutto». Si adoravano.
Federica ha posticipato la partenza per gli Stati Uniti per stargli vicino, sapeva che l’operazione era complicata e la convalescenza faticosa, ma era convinta che il peggio fosse passato. Castagnetti si era già presentato in piscina, fuori programma, non riusciva a stare lontano da lì, ma sabato si è sentito male. Quando Federica ha saputo che lui era morto non è riuscita a parlare. Solo lacrime: «Non mi sembra possibile, sono sconvolta, non riesco a dire niente. Sono distrutta. Provo un dolore assurdo: lui era come un padre per me. È stato un padre»
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