In ricordo del collega Roberto Stracca e di altri amici la cui scomparsa ho appreso solo stasera
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E'davvero una triste serata. Avevo appena visto la partita della Roma, ma la tristezza questa volta non è stata dettata dal risultato deludente dell'incontro, che per la prima volta da tifoso è passato quasi sottotono. Lo sconforto mi ha invaso quando ho appreso l'incredibile notizia della scomparsa del collega Eolo Capacci e soprattutto dello storico tifoso Fabrizio Carroccia, detto "Er Mortadella".
Tra l'altro di Fabrizio avevo saputo che stava male qualche giorno fa incontrando il caro amico conduttore radiofonico Bruno Ripepi. Una doccia fredda per chi come me ha perso pochi giorni fa un caro cugino molto giovane per un male incurabile. Hanno iniziato a scorrere sullo schermo della memoria i fotogrammi amarcord di tanti momenti del passato con Fabrizio, con Eolo, lo stadio, alcune trasferte, la tv Super3. Ma purtroppo il peggio dell'informazione funesta doveva ancora giungere ad abbattere definitivamente le mie corde emotive. Un concentrato così di eventi nefasti sparati a raffica in meno di un'ora non mi pare di averlo mai vissuto. Tra le notizie ne scorgevo una che mi riportava un lutto di pochi mesi fa e di cui purtroppo non ero a conoscenza. Roberto Stracca, valente collega del Corriere della Sera, e mi sembra così strano e assurdo, è venuto a mancare nel novembre scorso. Ho sperato in un'omonimia fino a quando ho capito che era proprio lui, il compagno di tante sere al giornale Fuoricampo, dove sotto la supervisione attenta, esigente e professionale di un grande maestro, Pino Rigido, abbiamo iniziato a muovere i primi passi nel mestiere più difficile ma più bello del mondo. E qui i ricordi si fanno pressanti, riaffiorano dai viali della memoria, mi ripropongono voci e odori, il clangore della rotativa, Roberto che scriveva di pallavolo, io di cronaca mondana, mi chiedeva sempre di invitarlo a qualche serata. E con noi erano in tanti, ci affollavamo tutti ad aspettare il nostro turno ai pochi computer del centro regionale di via Alfana, 31, da dove sono partite tante firme che hanno scalato le alte vette del giornalismo. Eravamo ragazzi, ognuno con la propria valigia di sogni, qualcuno ha abbandonato il settore, ma in tanti hanno continuato e i risultati sono arrivati. Di Roberto era facile prevedere il destino professionale che si è puntualmente materializzato, come quello di Paolo Ligammari, che ha condiviso l'esperienza al Corriere insieme a lui. Ma la lista sarebbe lunga da snocciolare. Di Roberto, dicevo, il futuro era scritto a caratteri cubitali tra le pagine delle aspirazioni lavorative, pochi si sarebbero avventurati in previsioni negative. Ma purtroppo quello biologico, segnato da un male incurabile che ce l'ha portato via a 40 anni, quello no, non l'avrebbe potuto prevedere nessuno. E ora che la triste realtà si sta facendo strada nell'iniziale incredulità, scavando impietosamente il solco della consapevolezza, una lacrima di affetto e nostalgia si infila tra le palpebre e scivola lungo le gote, ritorno a quel tempo, gli anni passati si annullano, rivedo il suo sorriso, il suo sguardo intelligente nascosto dietro i suoi occhialoni spessi, non riesco a crederci, ma Roberto davvero non c'è più. Mi sfiora un pizzico di rabbia per il fatto che nessuno mi ha comunicato la sua dipartita, eppure di conoscenti comuni ne avevamo. Ora mi sento solo, ho freddo dentro, la tristezza scava e un nodo alla gola preme. Domani è un altro giorno, la vita continua e ripropone come sempre lo stesso noioso e brusco ritornello, ma sono convinto che il mio pensiero si avventurerà spesso in passeggiate tra i ricordi a incontrare lo sguardo di Roberto e soprattutto so che c'è un fiore in più da portare sulla tomba di un amico con cui la vita è stata certamente troppo avara. Ciao Roby