Cultura, Sport e Spettacolo
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di Alessandra Mammì
Reality copiati male dagli Usa. Fiction stile anni Sessanta. Informazione a tutto gossip. La diagnosi impietosa dell'ex direttore di RaiDuecolloquio con Carlo Freccero
Piero Chiambretti e Carlo Freccero
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di Lorenzo Soria
L'insopportabile Allen. La divina Streep. I produttori squali. Il grande regista racconta trucchi e segreti della sua arte colloquio con Robert Altman Quando era bambino, è andato a scuola dai gesuiti. Quando era teenager, scappava spesso di casa la notte per intrufolarsi nei locali della natia Kansas City, che avendo sfidato le leggi sul proibizionismo era diventata un magnete per gangster, prostitute, giocatori d'azzardo, musicisti jazz. Poi arrivò la guerra e Robert Altman divenne un pilota al comando di B-24 nel Borneo. "Un periodo molto eccitante", ricorda. Come accade spesso con gli uomini che lasciano un segno, ben poco nei primi anni di vita dell'autore di 'Nashville' suggerisce che si sarebbe fatto un nome. Ma Altman ha saputo rompere il tradizionale schema hollywoodiano di protagonista-antagonista per narrare invece diverse storie parallele con più personaggi che si sovrappongono. E così, armato delle sue multiple cineprese e del suo senso dell'assurdo, si è trasformato in uno dei più acuti cantastorie del suo paese, raccontando con naturalezza e irriverenza un'America fatta di sognatori e di sogni infranti, di truffatori e di visionari, di eccessi e di bizzarrie.
Dalle missioni aeree nel Pacifico, Altman passò per caso al cinema industriale, poi alla televisione, mettendosi a fare cose tipo 'Bonanza' e finendo per litigare con Hitchcock che lo aveva chiamato per lavorare nella serie 'Alfred Hitchcock presents'. "A parte il fatto che non mi piacevano i suoi film, perché sono troppo curati", ricorda, "un giorno ho detto che una sceneggiatura era brutta e che non intendevo dirigerla. Mi hanno risposto: 'Grazie mister Altman' e non mi hanno più chiamato". Già allora Altman era un ribelle, uno spirito indipendente. Agli occhi degli studios, un rompiballe, tanto che quando fece vedere 'M.A.S.H' per la prima volta, la Fox ebbe la tentazione di cestinarlo. "È il primo film americano a mettere apertamente in ridicolo Dio", scrisse scandalizzato il 'New York Times'. Ma fu un immediato successo. E negli anni a venire Altman realizzò una serie di film che sono entrati nella storia del cinema: 'I compari', 'Il lungo addio', 'California Poker' e quello che per molti resta il suo capolavoro, 'Nashville'.
Dalle missioni aeree nel Pacifico, Altman passò per caso al cinema industriale, poi alla televisione, mettendosi a fare cose tipo 'Bonanza' e finendo per litigare con Hitchcock che lo aveva chiamato per lavorare nella serie 'Alfred Hitchcock presents'. "A parte il fatto che non mi piacevano i suoi film, perché sono troppo curati", ricorda, "un giorno ho detto che una sceneggiatura era brutta e che non intendevo dirigerla. Mi hanno risposto: 'Grazie mister Altman' e non mi hanno più chiamato". Già allora Altman era un ribelle, uno spirito indipendente. Agli occhi degli studios, un rompiballe, tanto che quando fece vedere 'M.A.S.H' per la prima volta, la Fox ebbe la tentazione di cestinarlo. "È il primo film americano a mettere apertamente in ridicolo Dio", scrisse scandalizzato il 'New York Times'. Ma fu un immediato successo. E negli anni a venire Altman realizzò una serie di film che sono entrati nella storia del cinema: 'I compari', 'Il lungo addio', 'California Poker' e quello che per molti resta il suo capolavoro, 'Nashville'.
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di Alessandro Gilioli
Le sconfitte. Lo scandalo. La tentazione di lasciare. E finalmente, il primato. Il patron nerazzurro racconta Un anno che ha cambiato tutto. Anche il suo carattere. Colloquio con Massimo Moratti Massimo Moratti
Non era mai accaduto, da quando si è comprato l'Inter, che Massimo Moratti festeggiasse il Natale così: primo in classifica, lo scudetto sul petto e i rivali di sempre - Milan e Juventus - lontanissimi o altrove. Per non pensarci su troppo, e non rischiare di gasarsi guardando la classifica, il patron nerazzurro ha deciso di passare le vacanze di Natale lontano, a New York, a vedere la figlia che recita a Broadway.
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di Stefania Rossini
La televisione. Gli sberleffi. Il governo. Ruini. E la psicoanalisi, l'amore, la voglia di maternità, la bimba russa in affido. Campionessa di comicità, Luciana Littizzetto si racconta Luciana Littizzetto (foto da Lucianalittizzetto.it)
È qui che ultimamente Luciana ha forse trovato il suo registro definitivo, aggiungendo alle scabrosità lessicali di sempre l'attenzione irsuta all'attualità politica e sociale. Ha così sommato pubblico nuovo a pubblici antichi, raggiungendo vette di share e di gradimento clamorosi.
È così, Littizzetto? RaiTre l'ha finalmente consacrata grande comica?
"E pensare che mi dicevo: se vai a RaiTre, sai dove vai, in un posto dove ti pagano poco e ti vedono meno".
Invece?
"Invece è scattato qualcosa. Fazio mi ha dato cittadinanza con il suo pubblico, io gli ho portato l'altra parte, quella che mai si sarebbe sintonizzata per vedere un'intervista a Padoa-Schioppa. Con tutto il rispetto per Padoa".
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di Chiara Valentini
E poi "L'Isola dei famosi" tagliata. Spazio agli emarginati come Freccero. Una società con Mediaset per gestire gli impianti. E Bbc a modello. Il consigliere ridisegna la Rai. Colloquio con Carlo Rognoni Carlo Rognoni
C'è un'espressione che viene usata spesso da Carlo Rognoni, consigliere d'amministrazione Rai con un buon passato da giornalista (è stato direttore di "Panorama", "Epoca" e "Secolo XIX"), poi eletto dai Ds in Parlamento. L'espressione è "abbassare la febbre".
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